L’educazione sessuale e affettiva come strumento di prevenzione: il comunicato stampa di Nondasola
Pubblichiamo il comunicato stampa che Nondasola ha inviato alla stampa locale in merito ai disegni di legge in discussione in Parlamento che prevedono il consenso informato preventivo delle famiglie in ambito scolastico per attività inerenti l'educazione sessuo-affettiva.
E’ arrivato agosto ma per un’Associazione che gestisce un centro antiviolenza questo non è un mese di stacco o chiusura, anzi. Quest’anno a gravare sui centri antiviolenza c’è pure la necessità di tenere alta l’attenzione per cercare di salvaguardare il valore della prevenzione primaria contro la violenza maschile sulle donne. E cioè l’azione, che da oltre 25 anni, Nondasola porta avanti tra i banchi di scuola incontrando studenti, docenti, educatori ed educatrici. E’ di questi giorni la notizia che il Governo ha impresso una forte accelerazione all’iter di approvazione del Disegno di Legge C. 2423 “Valditara”, delle abbinate proposte di legge C. 2771, d'iniziativa del deputato Amorese, e C. 2278, d'iniziativa del deputato Sasso che, in ambito scolastico per attività extracurricolari o curricolari, relative solo al tema della sessualità, richiede di acquisire il consenso informato preventivo delle famiglie. Come? Sostituendo le audizioni parlamentari con solo la deposizione di “memorie scritte” da presentare entro il 5 agosto. Tagliando quindi fuori diversi soggetti esperti (per esempio Save the Children) e associazioni la cui competenza ed esperienza non interessa a chi ha già le idee piuttosto chiare sul dovere della scuola di limitarsi prioritariamente all’insegnamento. Audita però la Rete nazionale dei centri antiviolenza (D.i.Re), di cui Nondasola fa parte, affermando con forza che l’educazione sessuale e affettiva è uno strumento fondamentale di prevenzione primaria della violenza maschile contro le donne e di riconoscimento della violenza assistita.
Secondo le raccomandazioni dell’UNESCO e dell’OMS, una educazione sessuale scientificamente fondata, inclusiva, accessibile e commisurata all’età è essenziale per promuovere la salute, prevenire discriminazioni e contrastare la violenza di genere. A ciò si aggiunge la Convenzione di Istanbul che all’art.14 invita gli Stati a intraprendere tutte “le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi”. Di tutto questo l’intenzione legislativa del Governo sembra non tenerne minimamente conto. E sembra, ancora più irresponsabilmente, occultare e negare due aspetti di cui, come centro antiviolenza, facciamo quotidiana esperienza. Davvero il primato educativo della famiglia vale anche per i contesti dove i figl* sono espost* alla violenza assistita (stimat* in circa 5 milioni)? Quali modelli relazionali, emotivi, sessuo-affettivi possono apprendere laddove prevalgono controllo, sopraffazione, senso di proprietà, paura? E, in contesti familiari sani, davvero pensiamo che temi così complessi e delicati possano essere confinati a un perimetro così ‘ristretto’ quando la maggioranza degli oltre 23.000 ragazz* che abbiamo incontrato hanno espresso difficoltà, ritrosia, imbarazzo a discutere e porre domande agli adulti della famiglia? Le inchieste ci raccontano come madri e padri siano spesso sprovveduti, non attrezzati o spaventati a fronte di una pornificazione della cultura a cui sono esposti i loro figli e le loro figlie (cultura moltiplicata dall’uso compulsivo dei social e di Internet, dove le rappresentazioni tendono a normalizzare anche la violenza estrema). Quali sono i genitori capaci di frenare con i propri soli mezzi questa valanga?
Perché l’immaginario sessista, misogino e violento possa cambiare occorre rinominare il significato dei corpi in relazione e generare una cultura ‘altra’, soprattutto attraverso una educazione relazionale e sessuale affidata a chi ha la competenza per farlo a partire da sé da una profonda conoscenza delle dinamiche della violenza e del carattere strutturale della cultura sessista. I/le ragazz* non possono diventare ostaggio di un’ideologia o di una visione politica anacronistica che, anziché adoperarsi per un’assunzione condivisa e diffusa di responsabilità educativa, delegittima e depotenzia la scuola, insieme alla società civile, nella loro propositività ed agency in tema di prevenzione primaria. Non possiamo essere ciechi. Perché se siamo ciechi continueremo a stupirci, addolorarci e arrabbiarci per le donne, anche giovanissime, uccise dai partner, per gli stupri (magari di gruppo, anche da parte di figli di famiglie specchiate) senza capire che qualcosa da subito si può fare, al di là di pacchetti di norme sulla sicurezza e sull’inasprimento delle pene.
Non staremo in silenzio di fronte a questo attacco grave e vogliamo avere fiducia che sul nostro territorio non saremo sole in questa battaglia perché prendiamo sul serio queste parole e ne sentiamo tutta la responsabilità “E’ davvero importante riflettere su tematiche che riguardano la vita di tutti noi non come violenti ma come persone che convivono in una città. Ci sono piccole cose nelle relazioni da guardare insieme per poi cambiare.” (Manuel, 17 anni)